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Scegliere la presenza, non i like: perché ho scelto di lavorare senza Instagram

  • Immagine del redattore: Martina
    Martina
  • 4 set
  • Tempo di lettura: 4 min

Viviamo in un mondo in cui, se una cosa non viene condivisa, sembra quasi che non sia mai successa. In questo contesto, decidere di non essere su Instagram può sembrare un gesto radicale. Per me invece è una scelta intenzionale e molto consapevole.

Non cerco di condensare la genitorialità in “tips” da trenta secondi o in grafiche accattivanti: preferisco creare spazi in cui i genitori possano fermarsi, riflettere e dare voce alla propria esperienza reale, con tutte le sue sfumature. Il mio lavoro nasce da conversazioni autentiche, da ascolto reciproco e da una presenza che non ha bisogno di filtri né di algoritmi.

Ti racconto i motivi dietro la mia decisione consapevole di lavorare senza Instagram, e come questa decisione riflette il mio modo di accompagnare i genitori.


Coltivare una disponibilità consapevole.

In passato gestivo un blog sulla genitorialità promosso attivamente su Instagram e, nel mio lavoro di marketing, ho fatto crescere interi brand grazie ai social. Questo per dire che conosco bene quel mondo, ci ho vissuto dentro un bel po', e so bene cosa comporta: ore passate a creare contenuti, modificarli, riscriverli, inseguire trend, restare visibili… la frustrazione di un post importante affossato dall’algoritmo, o l’euforia di un reel che diventa virale. Ci sono stata dentro, e ne sono uscita di proposito.

La mia scelta di stare fuori da Instagram fa parte di un impegno più grande: proteggere tempo ed energia, resistere alla spirale infinita che i social alimentano. È lo stesso che incoraggio nei genitori con cui lavoro: custodire il proprio tempo, restare radicati in ciò che conta davvero, fare scelte coerenti con i propri valori.

Instagram, con il suo feed infinito, è stato pensato per non avere limiti di scrolling, proprio perché l'obiettivo è tenerci agganciati senza sosta. Quella logica, che una volta mi apparteneva e mi rendeva dipendente da numeri e approvazioni (anche se non ne ero del tutto consapevole, o magari non ci vedevo nulla di male), oggi non è più la mia. E anche se non sono del tutto immune (ho ancora un account personale e sì, a volte scorro anch’io), non voglio contribuire a un sistema che spesso ci lascia più distratti, insicuri e disconnessi di prima. Perché è proprio questo che accade: apriamo l’app per riempire un vuoto, e la richiudiamo con addosso una strana sensazione, come se invece di nutrirci ci avesse un po’ svuotato.


Dare il giusto valore alla complessità della genitorialità.

I social traboccano di consigli per genitori: 5 tips per una routine perfetta, 8 modi per gestire le crisi, 3 frasi magiche da dire sempre a tuo figlio, 10 hacks per non perdere la pazienza, 7 strategie per crescere bambini felici. Alcuni suggerimenti sono utili, certo, ma raramente tengono conto del contesto reale, di quanto sia caotico, intenso e bellissimo crescere dei bambini.

Perché cosa succede se chi legge non dorme da tre notti e l’ennesimo “trucco per la bedtime routine” sembra quasi una presa in giro? O se deve gestire due figli con bisogni opposti, e nessuna delle “strategie universali” sembra funzionare? O se si trova a fare i conti con la solitudine, con la mancanza di una rete di supporto, mentre i post ripetono che “basta chiedere aiuto”? O se la fatica quotidiana non si misura in tips, ma in piatti da lavare, compiti da controllare e abbracci dati di corsa?

Il problema è che i social trasformano la genitorialità in una lista di ricette pronte: come se bastasse seguire tre step per eliminare i "capricci", cinque frasi per crescere figli sicuri di sé, sette trucchi per avere case sempre ordinate. Ma i bambini non si crescono con istruzioni preconfezionate, e i genitori hanno bisogno di supporto reale, non di manuali in pillole.

I social, spesso, appiattiscono la complessità della vita vera. La mia scelta di restare fuori da Instagram mi permette di coltivare uno spazio diverso, dove la genitorialità può raccontarsi con le sue sfumature, le sue contraddizioni e le sue imperfezioni.


Autenticità prima di approvazione.

Infine, c’è anche un aspetto personale dietro questa scelta. Non voglio modellare il mio lavoro su ciò che potrebbe ottenere più “mi piace” o sentirmi scomoda se un contenuto che mi sta a cuore non riceve l'attenzione sperata. Pubblicare e aspettare la validazione esterna può innescare un meccanismo estremamente alienante, e non è l’energia che voglio portare nel mio lavoro.


Ci tengo a precisare che questo post non vuole giudicare chi usa Instagram per condividere il proprio percorso: ci sono persone che lo fanno con grande cura e professionalità, aggiungendo reali valore ai propri followers.

Per me, però, si tratta di restare fedele a ciò che sento giusto, in linea con i valori che guidano la mia vita e il mio lavoro. Il mio business si chiama Living Undivided perché cerco di vivere con integrità e coerenza: dove il modo in cui vivo, lavoro e come mi connetto con altri nasce tutto dallo stesso luogo. Evitare Instagram mi permette di concentrarmi sulle relazioni reali e coltivare un lavoro basato sulla presenza.


Spero che chi cerca questo tipo di spazio arrivi qui comunque - anche senza l’aiuto di un algoritmo.


A peaceful, unplugged workspace with a cup of coffee, an open notebook, a camera, a book, and a phone placed face down, symbolising intentional presence and unplugging from social media

 
 
 

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